RES – Cose d’oggi a scuola

Articolo sulla dispersione scolastico pubblicato su RES.

 

Dispersione Scolastica: Cause e rimedi, di Nilo Cardillo (pdf).

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I bambini e il muso bianco degli asini

I BAMBINI E IL MUSO BIANCO DEGLI ASINI

L’asino: prezioso compagno dell’uomo nella conquista della civiltà.

L’avvicinarsi del Natale ed il ricordo dell’ultima edizione della “Corsa degli asini”, all’interno del Palio delle contrade, durante l’estate corenese, hanno determinato, nella mia mente, un cortocircuito tra ricerche sulla filosofia antica, riflessioni antropologiche sulla cultura dei piccoli paesi, scene dipinte su antichi vasi greci e favole affascinanti. Di una, in particolare, desidero mettere a parte i lettori de “La Serra”.
Iliade, 11.558-568 “E come un asino, quando sul bordo del campo resiste ai fanciulli testardo e molti bastoni sopra di lui sono spezzati,ma esso entra a mietere il grano folto;i fanciulli lo battono coi bastoni, la loro forza è di bambini, e a stento lo spingono fuori quando è sazio di grano;così il grande Aiace figlio di Telamone allorainsieme Troiani superbi e alleati famosi continuamente inseguivano, colpendo con l’aste lo scudo.

 

Gli asini sono stati presenti accanto all’uomo, sin dalle sue prime fasi evolutive. La rappresentazione letteraria degli asini, però, nel mondo occidentale, non rende giustizia alle loro reali qualità in quanto si sviluppa tutta all’interno di un sistema simbolico nel quale essi sono stati sempre confrontati negativamente con i cavalli. Basti pensare che i cavalli, nell’Iliade e nell’Odissea, sono citati continuamente, perché sono sempre presenti accanto agli eroi, nei momenti della battaglia come nelle occasioni solenni, mentre l’asino viene citato una sola volta. La letteratura alta, i proverbi e le novelle, allo stesso modo, tendono a caratterizzare gli asini, almeno nelle occasioni in cui li menzionano, come pigri, ostinati, lascivi, ingordi e stupidi. Questo ritratto è in contrasto non soltanto con il beneficio economico reso dagli antichi asini, ma anche con i moderni posizionamenti della gerarchia degli animali. I manuali delle facoltà veterinarie descrivono gli asini come “molto intelligenti, svegli, curiosi e affezionati”, quando non siano soggetti a condizioni negative (come un trattamento crudele, cattiva protezione, poco cibo e acqua oppure superlavoro). Alcune fonti scientifiche autorevoli affermano, addirittura, che l’asino è superiore al cavallo nella sua capacità di ragionamento e di analisi.[2] Gli asini sono anche i più vigili degli equini. Essi sono eccezionalmente sensibili al territorio circostante, una ragione per la quale vengono regolarmente impiegati, nel Nordest degli Stati Uniti, per proteggere greggi di pecore e capre contro predatori come i coyote. Tornando ad Omero, l’unica circostanza nella quale l’antico poeta parla dell’asino si trova nell’Iliade, libro XI, vv. 558-562, quando Aiace, l’eroe nella forza e nel coraggio inferiore soltanto ad Achille, è costretto ad indietreggiare sotto l’attacco di nemici soverchianti per numero. Generazioni di critici si sono interrogati sopra il significato di questa similitudine, perché essa segue immediatamente un’altra, nella quale Aiace viene paragonato ad un leone. A noi, in questa sede, interessa soltanto notare come, già al tempo di Omero, gli asini pativano le maggiori pene dai bambini, soprattutto quando questi li portavano al pascolo. I bambini percuotevano l’asino con bastoni, gli tiravano pietre, gli saltavano in groppa e si facevano trasportare in cinque o sei alla volta. L’asino, sempre paziente, li lasciava fare senza opporsi.

 

Il matrimonio attico

Il matrimonio attico

Nella Grecia classica, però, l’asino, per quanto, considerato meno pregiato del mulo, era utilizzato anche in occasioni di una certa importanza e solennità. Lo dimostra un vaso antico, di grande pregio artistico, che raffigura una delle più belle scene di matrimonio dell’arte antica. La scena, che per comodità dei lettori riportiamo sviluppata sul piano, è stata dipinta su un vaso di terracotta (recipiente per olio) del 550 a.C., dal pittore Amasis. È la più antica e la più completa rappresentazione di un matrimonio attico. La coppia di sposi ed il “parochos” (“colui che siede accanto”-testimone dello sposo) sono seduti sul carro anteriore. Il corteo nuziale è rappresentato nel momento finale, quando, dopo il banchetto, all’imbrunire, la sposa viene accompagnata nella nuova casa. Infatti si vede chiaramente, sulla destra, l’elegante ingresso della casa dello sposo, al cui interno si intravede la madre dello sposo pronta ad accogliere la nuora. Sul secondo carro, trainato da muli, ci sono quattro ospiti, tutti uomini. Accanto ad ogni carro camminano, a sinistra due donne, a destra un uomo. La donna che precede il corteo porta due torce, il che indica che il corteo nuziale, secondo tradizione, si muove di notte. Lo sposo siede accanto alla sposa e regge le redini. Egli ha la barba ed molto più anziano della sposa, secondo il costume del tempo.

Comprendiamo che il carro anteriore è trainato da una coppia di asini proprio grazie ai loro “musi bianchi”. Questo dettaglio doveva aver colpito gli uomini antichi, perché in tutte le rappresentazioni, sempre, viene messo in evidenza il muso bianco degli asini.A questo punto scatta il legame col brano di Omero e con l’antica e mai decaduta abitudine dei ragazzi di tormentare gli asini. Perché gli asini hanno il muso bianco? Una antica e deliziosa favola araba, adattata alla religione cristiana, ci dà la risposta.

Un giorno gli angeli vennero mandati sulla Terra con il compito individuare l’animale più paziente per portarlo in Paradiso. Dopo aver osservato il comportamento dei più svariati animali, risultò che l’asino era certamente il più docile e il più mite degli animali, capace di sopportare privazioni, condizioni di lavoro assai dure, maltrattamenti e scarsa alimentazione. Il giudizio fu unanime, per cui un asino fu condotto in cielo per essere ammesso nel Paradiso. Quando esso giunse alle soglie del Paradiso,mise dentro, con circospezione, solo il muso. Immediatamente si irrigidì. Nonostante gli angeli lo spingessero con energia per farlo entrare, fu, come sempre, ostinato e irremovibile. Dopo un po’ gli angeli capirono: l’asino aveva visto che in Paradiso c’erano, in gran numero, i bambini. Di fronte alla prospettiva di dover sopportare, anche in quel luogo, per quanto santo, gli stessi maltrattamenti che subiva solitamente sulla terra, l’asino, che è anche testardo, si impuntò e gli angeli non riuscirono in alcun modo a convincerlo che nel Paradiso non avrebbe subito maltrattamenti di alcun genere. Gli angeli furono costretti a riaccompagnarlo sulla terra. Si accorsero, però, che il suo muso era diventato bianco. Infatti la parte del suo corpo introdotta nel Paradiso era stata colpita dalla sua luce accecante ed era diventata bianca. Da allora tutti gli asini che nascono sulla terra hanno una larga macchia bianca sul muso!

Preside Nilo Cardillo

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Cf. Evans (2001) 284: “Per quanto sarebbe difficile convincere alcuni amanti dei cavalli, l’asino possiede una grande maggiore capacità di ragionamento del cavallo”

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Centenario Gesmundo

“La dignità umana è uguale per tutti e, come tale, va rispettata in tutti, in ogno caso” ( Gioacchino Gesmundo)

Manifesto Centenario Gesmundo

Roma: Il VII Municipio della Città di Roma, il giorno 19 novembre 2008, ha organizzato una solenne cerimonia, presso la Scuola Elementare di Tor Sapienza, intitolata al martire delle Fosse Ardeatine, per ricordare il Centenario della sua nascita.
Relatore:   NILO  CARDILLO

La vita del Prof. Gesmundo, che si concluse in modo tragico il 24 marzo 1944, nella rappresaglia consumata dai tedeschi alle Fosse Ardeatine, si è intrecciata anche con la storia di Formia, dove egli, nell’anno scolastico 1932/33, prestò servizio come docente di “Storia e filosofia” presso il Liceo Classico “Vitruvio”. Tra i suoi allievi ebbe l’On. Pietro Ingrao, che in più circostanze ha ricordato il suo debito di riconoscenza nel confronti del “maestro”. Nello stesso giorno, sempre alle Fosse Ardeatine, venne fucilato Pilo Albertelli, che pure aveva iniziato il suo insegnamento di “Storia e filosofia” presso il Liceo “Vitruvio”.
 

Per ricordare questo strano incrocio del destino, il Preside Nilo Cardillo, nel 1997, prese l’iniziativa di intitolare a Gesmundo e ad Albertelli la Biblioteca del Liceo “Vitruvio”. Alla cerimonia furono presenti l’On. Pietro Ingrao, l’On. Vittorio Foa, recentemente scomparso, e il Ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Berlinguer. A partire da quel momento il Preside Cardillo ha continuato le ricerche sulla vita di Gesmundo, ritrovando, presso l’archivio della Scuola Normale di Pisa, carte inedite relative al rapporto di Gesmundo con lo storico Pietro Silva, del quale era stato assistente all’Università di Roma.

Copertina del libro "Lettere ai familiari" di Gioacchino GesmundoNell’anno 2007, presso l’Archivio di Stato di Bari è stato ritrovato, fortunosamente, l’epistolario familiare. Queste ricerche hanno consentito di sottrarre Gesmundo dall’aura un po’ rarefatta del martirio, sulla quale aveva insistito la precedente storiografia, restituendoci per intero la figura dell’uomo, del docente e dello studioso avviato ad una brillante carriera universitaria. Questi aspetti sono stati sottolineati dal Preside Nilo Cardillo, che ha altresì ricordarto  il   “passaggio formiano”, anche attraverso la citazione delle lettere che Gesmundo scrisse alla sorella Isabella, proprio da Formia.

“La celebrazione del Centenario è stata occasione importante per superare la retorica del martirio, che aveva elevato, ma anche allontanato la figura del professore. Le ultime ricerche lo ricollocano sulla terra, tra di noi, e ce la restituiscono impastata di poesia e di spirito di finezza, di tenacia e di tempra, di esperienza e di saggezza”.

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